venerdì 29 ottobre 2010

manica a vento





foto di Pina Chiarelli





Nella murgia materana, i primi di ottobre, c'è stata la festa degli aquiloni

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lunedì 25 ottobre 2010

venerdì 22 ottobre 2010

"Il sole dei morenti" di Jean-Claude Izzo




Le strade di Parigi, i vicoli di Marsiglia e due esistenze : una, quella di Titì, si spegne al buio, allungata sui sedili di plastica di una stazione del metrò, l'altra, quella di Rico, vede inquadrati i suoi ultimi istanti da una luce pallida, fredda, quella del sole dei morenti.






Titì

Per Rico,  Titì doveva essere stato professore o maestro. qualcosa del genere. Aveva letto tantissimi libri e nelle loro discussioni vi faceva spesso allusione. Un pomeriggio, seduti su una panchina al sole in square des Batignolles  - un posto dove amavano ritrovarsi -  Titì aveva detto : " Sai, da ragazzo leggevo Burroghs, Ferlinghetti, Kerouac... ".
Vedendo la faccia inespressiva di Rico aveva aggiunto :
" Non hai letto "Sulla strada" ?   ( ... )
" ( ... ) On the road again, era il loro credo ".
Il suo sguardo era completamente perduto.
" On the road again" aveva ripetuto pensieroso.
" Bella stronzata!".
Nessuno dei due aveva alcun dubbio: la loro strada non era più una strada. Soltanto una palude in cui sprofondavano ogni giorno un pò di più. Irrimediabilmente. E anche se arrivava qualcuno a tendergli la mano, ormai era troppo tardi. Le mani che si tendevano verso di loro non erano mani amiche, non lo erano più. Solo mani benevole. Un caffè in un bicchiere di carta.
( ... )
" On the road again, e per sempre: ecco cosa siamo Rico".
" Si ".
" Bastardi! "




                                                                  
Rico

Aveva iniziato a bere dopo che Sophie se n'era andata. Per consolarsi, per dimenticare, prima.  Per distruggersi, poi.
( ... ) Capire: aveva bisogno di capire come avevano fatto, lui e Sophie, ad arrivare a quel punto.  Un'ossessione. Ma naturalmente non c'era niente da capire. Era la vita. Qualcosa tra due persone che ad un certo punto fa cilecca. Come un appuntamento mancato.


                                                                             ( ... )


E mentre fumava si chiedeva se , in fondo, la vita non fosse nient'altro che quello: la capacità di ognuno di difendere il suo pezzo di carne per sopravvivere in mezzo alla schifezza del genere umano...  Magari suo padre aveva ragione. E lui ne era la prova. Lui era andato a fondo, mentre loro erano rimasti a galla. Per loro tutto continuava. La vita. L'amore. La felicità.





La voce narrante

E' lì che l'ho incontrato  Rico. A Marsiglia. E che ho appreso quello che so di lui e di questa vita schifosa in cui ognuno è solo e già vinto.


                




Link:

La biografia di Jean Claude Izzo

La Marsiglia di Jean Claude Izzo



Ringrazio Nela San ed Adriano Maini  per avermi fatto scoprire l'autore di questo romanzo!




Le parti in corsivo sono tratte da Il sole dei morenti di J.C. Izzo  ed. e/o


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martedì 19 ottobre 2010

Perù - 2 -





Adolfo ci ha portato a visitare la fortezza incaica di Ollantaytambo. Ieri sera abbiamo dormito in un residence composto da tante piccole abitazioni con ingresso indipendente e giardino. Le luci erano fioche. Gli impianti elettrici qui sono elementari. Mi sono alzata di buon'ora ed ho spiato l'alba con la telecamera. Mentre riprendevo ho sentito dei passi. Era Adolfo, sempre elegante con il suo poncho bianco. MI ha salutato e mi ha detto che passeggiava tra le abitazioni del residence per rendersi conto di come fossero cambiate. Ora sono nelle mani dei privati. Il governo ha svenduto molte delle proprietà statali, lasciando che pochi si arricchissero speculando.

Nel pomeriggio escursione a Pisac. Pensavo si trattasse di una visita tutto sommato evitabile, invece ho passeggiato tra rovine e terrazzamenti bellissimi. Per raggiungerli abbiamo scalato un'altura ripida tra il fresco, la brezza ed il verde. Su un costone della parete si aprono infiniti buchi, sepolture devastate, nel tempo, dai tombaroli.




Lungo trasferimento in treno con destinazione Puno.
Arrivati in città, ci sistemiamo in un albergo dagli improbabili arredi : divani di velluto rosso in stile impero e grandi specchi a forma di pavone. A mitigare lo shock, la  gentilezza del personale ed un pane profumato, morbido, squisito. 





Tramonto mozzafiato come scenario delle rovine di Sillustani. Si tratta di ruderi preincaici imponenti. Le torri che, massicce, si impongono alla vista, sono, in realtà, tombe. Respiro il vento di un'epoca remota. Un uomo suona tra le rovine il flauto di Pan






Lungo trasferimento in fuoristrada. Scenari favolosi! Siamo tra le vette più alte. La neve si intravede a tratti. Ti sembra di toccare il punto segreto del cielo, quello più alto, quello dove il tempo è un'opinione sballata. Maestoso!
Lunga discesa tra tornanti verso Chivay. Domani , forse, vedremo i condor.







I condor sono apparsi tra le pareti del Colca Canyon. Sono grandissimi.
Grazie a Dio ignorano noi turisti.




Siamo nuovamente vicini alla costa. Sento la mancanza delle Ande! Clima ed atmosfera da riviera. I bungalow qui non hanno vetri ma zanzariere. Ci svegliamo al suono stridulo di uccelli tropicali. Palme gigantesche e personale sorridente che innaffia il giardino.

Il sorvolo delle linee di Nasca per molti è stata una sofferenza e una delusione. Ci siamo affacciati sulle linee da Cesna traballanti e c'è chi ha vomitato l'anima o, nel migliore dei casi, intriso pantaloni e camicia di sudore freddo.
L'immagine che ricorderò meglio è quella del marziano.

Nel pomeriggio andiamo a Chauchilla. Lì,  mummie, a stento coperte da tettoie di fortuna, prendono il sole. E' così da quando qualcuno ha deciso di toglierle dal protettivo buio che le avvolgeva.
Camminiamo tra ulne, péroni, mandibole dissepolti dalla furia dei tombaroli. Qualche ciuffo di capelli secolari qua e là.



Il guano è davvero puteolente e le isole Ballestas ne sono il regno! Più ancora della visione dei leoni marini che pigramente si inerpicavano su qualche prominenza rocciosa, ho gradito la corsa in motoscafo.



Nel pomeriggio uno dei momenti più belli del viaggio. Dune gialle, morbide ed infinite declinanti sul Pacifico: il Parco nazionale di Paracas





Malinconico ricordo dei rilievi andini sulla strada del ritorno




domenica 17 ottobre 2010

Perù - 1 -







 500 Km, circa, il tratto Lima- Ayacucho. Eloy ha guidato lungo la Panamericana, il rettilineo che costeggia il Pacifico, per poi prendere una strada tortuosa, in salita.
Abbiamo sostato per un po' presso un villaggio di case basse con il tetto piatto ( qui non piove mai ). Dei bambini ci hanno chiesto dove fossimo diretti, indovinando già la nostra destinazione.
Campi di mais e di patate lungo il percorso. Una salita lenta e poi più ripida tra rilievi pronunciati e dai colori scabri.





Quando Eloy, durante la discesa, ha spento il motore, il silenzio ci ha riempito ed incantato, sembrava di planare  in un un luogo antico e amico.

Ayacucho è a più di 2700 metri di altitudine e scivola, lungo i declivi, verso una sorta di grande conca.
Qui si lavora l'alabastro con attrezzi rudimentali. I manufatti tessili sono essenziali ed hanno colori cupi. Eloy ci dice che gli abitanti di  Ayacucho sono malinconici, la loro musica è la più triste del Perù.






Lungo la strada per Andahuaylas,  bambini in un accampamento ad alta quota. I loro genitori coltivano patate.         






     Lungo la strada per Abancay,                                         
                                                



    villaggi, silenzio e volti " di pietra scolpita".

+++++++++


Machu Picchu in  un pomeriggio di nebbia. Non è una città misteriosa. Il benessere che ho provato qui so da cosa deriva.
  E' l'ecosistema, il territorio perfetto, perduto






                                        Qui ci si sente  una "docile fibra dell'universo"





mercoledì 13 ottobre 2010

Nel bush australiano







Fermo l'auto e scendo per conquistare l'effetto d'insieme.
Il silenzio che sembrava in attesa inghiotte il suono del motore.
Da qualche parte c'è chi si burla di me : cra, cra, craa. Il cielo è un'assurdità pallida e vuota.
"Natura selvaggia" . Ecco cos'è la "natura selvaggia".
                       


                                                                        ( ... )

L'ambiente pullula di vita, ma è anche totalmente vuoto. M giro a guardare: i cespugli  sembrano essersi richiusi al mio passaggio, piano, in silenzio, come l'acqua. Ma dov'è la strada?

                                                                        ( ... )
 




Mi guardo le scarpe, qualcosa di umano, qualcosa di mio. Ricordo a me stessa il concetto di dietro e davanti. La strada è dietro di me. Se mi volto, la vedo. Devo togliermi dalla testa quella parola: "perduta".







 Da  La villa del signor Wiseman di Kate Grenville in  Dovevo andarci -scrittori in viaggio con se stessi- ed. Mondadori







Qui qualcosa sul bush





lunedì 11 ottobre 2010

Philippe Petit, lo scrittore del cielo





                                                                         Philippe Petit



L'arte di colmare e illuminare il Vuoto, un vuoto tra due torri, due orli di precipizio, due pianeti, o lo spazio tra il cuore e lo spirito. (... )






















Ti rendo omaggio, Philippe, Uomo fragile del Filo, Imperatore dell'aria. Come Fitzcarraldo, sei tanto raro e prodigioso che più non si potrebbe: un Conquistador dell'Inutile.
E m'inchino con rispetto profondo.

                                                                                                       Werner Herzog



venerdì 8 ottobre 2010

mercoledì 6 ottobre 2010










sabato 2 ottobre 2010

Un quartiere di Praga nelle pagine di un romanzo : Josefov in " Il signor Theodor Mundstock " di Ladislav Fuks








Il cielo è sporco e nell'aria turbina neve mista a pioggia. Lungo il municipio corre un anziano signore, costeggia la sinagoga, via Havelska, si spinge fin dentro una casa grigia, fin dentro una porta con un'insegna. Piomba all'interno, ma non dice più neppure buongiorno, non appende il cappello ed il cappotto fradici, e all' interno è un inferno. Tavoli aperti, cassetti gettati per aria, sedie a pezzi, là dove sedeva il signor Vorjahren un mucchietto di carte. Dio non ho sbaglato piano? In quel momento dietro di lui qualcuno sbraita "Ausweis...".





Quel signor Mundstock che sta seduto qui sul divano, con le scarpe slacciate contando chi sì e chi no, che ha il volto grigio, il collo floscio e di notte non dorme, è invecchiato di un secolo in tre anni, da quando sono arrivati i nazisti e hanno coperto tutto con il loro bruno grigiore. E' seduto sul divano con la testa tra le mani e sente che la stanza si riempie di una sorta di nebbia ( ... ) Vede un giovane ventitreenne pettinarsi davanti allo specchio i capelli neri, raddrizzare la cravatta verde e sistemare il fazzolettino. Sono quasi le otto, ma il giovane evidentemente ha tempo. Poi lascia il cappello sulla sedia ed esce. E il signor Mundstock si alza dal divano ed esce dietro di lui come seguendo la propria ombra. Lungo il parco, per via Maislova, accanto al Municipio ebraico, alla sinagoga.



  

Per via Sanytrova  anche ora, in inverno, andava e veniva parecchia gente.  ( ... ) forse proprio perchè in quella via Sanytrova spazzava sempre la polvere sotto gli occhi dei passanti, gli venivano in mente pensieri e immagini che riguardavano tutte quelle persone.
Sì, siamo sopravvissuti a tutti i tormenti, pensava, (... ) in fondo discendeva dal popolo più antico del mondo che era stato capace di resistere fino a quel momento.  (... ) e poi si diceva che la persecuzione doveva essere il riscatto per essere sopravvissuti a tutto.






La via Mydlarska (... ) era certo più tranquilla, ma in compenso molto più polverosa. (...) E immerso in quelle nuvole di polvere rifletteva poi su qualcos'altro. Ricordava che, quando in occasione delle principali feste frequentava ancora la Sinagoga Vecchionuova per sentir predicare il vecchio, era solito ascoltare dalle sue labbra il racconto della polvere e della stella...
Moltiplicare io voglio il tuo seme come le stelle nel cielo e come la sabbia in riva al mare.
E pare che il rabbino Jehuda bar Elai spiegasse così questo passo :
Questo popolo è paragonato alla polvere ed è paragonato alle stelle.
Se scende, scende fino alla polvere.
Se sale, si eleva fino alle stelle...








 

Le parti in corsivo sono tratte dall'edizione Einaudi del romanzo Il signor Theodor Mundstock di Ladislav Fuks.


                       





venerdì 1 ottobre 2010

"Il signor Theodor Mundstock" di Ladislav Fuks






Mundstock e Mon, un uomo e la sua ombra.  L’ ombra è la paura, la coscienza della fine. Mundstock , ebreo praghese,  l’ha allontanata da sé per non soccombere al terrore della inevitabile e prossima deportazione in un campo di concentramento nazista.
Pagina dopo pagina, nel romanzo, si snoda lentamente una quotidianità grigia con qualche impercettibile dettaglio colorato ad evidenziare i rari e pur necessari momenti di intimità, di speranza, o gli improvvisi stati febbrili del delirio. 

                                                                                                      
I grandi occhi neri del ragazzo  guardano la fiammella della prima candela di Channukkah e sono colmi di stupore. La fiammella si riflette e tremola nei suoi magnifici occhi… China la testa sul candelabro (… )  – Qualcosa di rosa qui svolazza, bisbiglia, qualcosa di rosa qui muove le ali - .


Lo guardavano fisso, quattro paia d’occhi, e lui sentì che cominciava a dominarli. Come se ad un tratto fosse ritornato agli anni più felici del tempo passato, quando lì accanto, in cucina, la signora Sternova friggeva le cotolette e Simon le si metteva tra i piedi con il quadernetto dei francobolli. (… ). Aveva la sensazione che qualcosa di verde gli germogliasse dentro, come se lui, il precedente signor Theodor Mundstock , stesse risorgendo dal regno dei morti.


Il buio intorno a lui si faceva sempre più rosso e nel contempo iniziava a rarefarsi. (…) Un’alluvione inondò la sua coscienza e sommerse tutto ciò che aveva relazione con il reale.


Un venerdi del 1942 qualcosa cambia. Mundstock adotta un nuovo metodo per allontanare il terrore. Capisce che la soluzione sta nel  prevedere minuziosamente  ciò che potrà succedergli e giocare d’anticipo, preparandosi con rigore e metodo ad affrontare la deportazione. Nell’applicazione del nuovo “sistema” ,Mundstock proverà un piacere profondo. Paradossalmente, la gioia gli deriverà dall’ adattamento  ad una situazione subita, imposta.


Ma come organizzare quell’allenamento? Il signor Mundstock comincia a capire che sarà più difficile rispetto agli esercizi di sollevamento della valigia (… ) .Il signor Mundstock si rivolta sul pancaccio, e fissa il buio. Spiega, parla, riflette e comincia a perdere il controllo. Non gli viene in mente niente, nessun metodo, nessun sistema pratico, niente di niente. E già per la stanchezza gli si chiudono gli occhi e si sta addormentando quando un’idea finalmente arriva. Come ho potuto dimenticare, si dice, e il cuore gli sobbalza. Ma se…  Il pancaccio lo indolenzisce, il buio lo circonda, e lui alzando lievemente le sopracciglia sorride, gli sembra di stare sul più bel etto del mondo.

                                                                                                                                                             Molte delle soluzioni ai problemi minuti che dovrà risolvere consisteranno nel farsi notare il meno possibile, nello “scomparire”:  il romanzo ad un certo punto si trasforma in un vero e proprio prontuario per chi voglia guadagnarsi l' “invisibilità”. Per prepararsi, allenarsi ad affrontare la deportazione, Mundstock inizia a sottoporsi ad una disciplina che lo priverà, ancor prima che ciò che teme accada, delle sue abitudini ed addirittura metterà a repentaglio la sua incolumità nel momento in cui  l’uomo giungerà a simulare la propria morte per gas. Tutto ciò per arrivare ad avere  la fine temuta alle spalle ed eliminare così il terrore.                                               


La morte gli si è manifestata in tutta la sua semplicità… (…) Che si sfoghino pure, sorride, non mi stupiscono più. Per me è ormai lo stesso, io ho l’epilogo alle mie spalle.



Forte del suo” metodo” ,Mundstock va addirittura sollevato,  sorridente, verso il  previsto appuntamento con la sorte.                                                                                                                        


Ma ora va già veloce. Ora già corre. Le guance gli ardono. Se solo fosse già arrivato. Ci deve essere ormai. Al luogo di raduno dei convogli. Alla Fiera…
E finalmente è là.



Ma non ci si può preparare a tutto, il “metodo” non contempla l’imprevisto; così , nelle ultime pagine del romanzo, a campeggiare è di nuovo la paura, che, ancora una volta, prende la forma di un’ombra  tremante sul selciato.
















Le parti in corsivo sono tratte da Il Signor Theodor Mundstock di Ladislav Fuks   ed. Einaudi