sabato 18 giugno 2016

Wilderness


"I primi giorni facevo lunghe camminate. (...) mi riempivo i polmoni del profumo della California, un po' americano e un po' mediterraneo, in cui l'aroma del legno rosso si mescolava a quello della salvia, della resina e degli arbusti spinosi. Il puma era un animale mitologico, la comparsa di un film western, e mi preoccupava appena un po' di più dell'altra creatura leggendaria che vive in quella terra, il serpente a sonagli. I cervi erano dappertutto, i coyote si intravedevano di giorno e si sentivano
ululare di notte, unico rumore oltre al frinire dei grilli e all'occasionale richiamo del gufo che a volte si posava sul tetto del mio studio in cima alla collina. Un mattino, uno di quei grandi rapaci notturni era stato trovato morto dietro l'edificio principale, dilaniato da qualcosa di molto più grosso di lui che
gli aveva strappato l'ala e divorato la maggior parte del corpo.
Un giorno ho fatto una passeggiata più lunga del solito. Dopo il primo tratto sul terreno aperto, sotto un sole a picco che asciugava il sangue, sono entrata nella foresta, all'ombra delle sequoie alte e dritte e delle querce gobbe e contorte, con i rami grondanti di muschio spagnolo. Là sotto stavo così bene che ho continuato a camminare senza accorgermi di quanta strada avevo percorso. E a un certo punto ho provato un senso di assoluta solitudine. Non la solitudine interiore di chi si sente solo in mezzo alla gente. No, non quella roba lì. Questa era una solitudine concreta, fisica: ero sola perchè intorno a me non c'era un accidenti di nessuno, per chilometri e chilometri. Una cosa inimmaginabile nel paese in cui sono nata, dove il cemento arriva dappertutto e dove si costruiscono case persino nei parchi nazionali. Poi ho capito dove ero finita: in mezzo alla wilderness. La wilderness era uscita dai libri, dai saggi di John Muir e dai racconti western, e mi aveva circondata. Non era più un'idea filosofica, un concetto astratto. Da un istante all'altro era diventata un luogo reale, concreto, dove, come recita il Wilderness Act, " la terra e la vita che la abita non sono in alcun modo vincolate dalla presenza umana, e dove l'uomo stesso è un visitatore non destinato a restare". Dove echeggiano rumori sconosciuti, e dove, se incontri un puma, l'unica cosa che puoi fare per difenderti è fingerti grosso e ruggire. Mai voltargli le spalle, mai scappare. Mai. (...) me l'hanno confermato. " Se incontri un puma, mi raccomando, non metterti a correre".
Così, quando nella foresta ho sentito un rumore che non era il grido stridulo della ghiandaia nè il tamburellare cavo del picchio, ma il fruscio di qualcosa che si muoveva tra i cespugli, mi sono fermata, mi sono guardata intorno e ho ruggito. chissà se è stato quello a salvarmi."


Silvia Pareschi, I jeans di Bruce Springsteen e altri sogni americani, ed. Giunti  ( qui )



mercoledì 8 giugno 2016

Mahabharata



Arjuna: Tu dici: “ Dimentica il desiderio, cerca il distacco”; e tuttavia mi spingi alla battaglia, al massacro? Le tue parole sono ambigue, io sono confuso.
(pausa)

 Vyasa: Krishna gli dice: “Non ritirarti nella solitudine. La rinuncia non è abbastanza. Devi agire, ma non devi farti dominare dall’azione.
(riprende su Arjuna e Krishna)
Krishna: Nel cuore dell’azione, devi rimanere libero da ogni legame.
Arjuna: Come posso mettere in pratica ciò che mi domandi? La mente è instabile, capricciosa, è evasiva, febbrile, tumultuosa, tenace. Sarebbe più facile domare il vento.
Krishna: Devi imparare a guardare nello stesso modo, con l’identico sguardo, una montagna di terra e una montagna d’oro, una mucca e un uomo saggio, un cane e un uomo. C’è un’altra intelligenza oltre la nostra mente.
Arjuna: Le passioni ci trascinano lontano, oscurano e rendono ottusi i nostri sensi. Come posso trovare quest’intelligenza? Con quale volontà?
(pausa)